Il governatore Cláudio Castro è il mandante
della strage di Rio de Janeiro: cacciamolo!

di Jerônimo Castro*, da Rio de Janeiro
L'operazione di polizia che ha avuto luogo il 28 ottobre nella città di Rio de Janeiro è già entrata nella storia come il più grande massacro perpetrato dalla polizia statale col pretesto della lotta alla droga e alle fazioni criminali che controllano il mercato illegale.
Questa operazione, che è stata un vero disastro nella preparazione e nell'esecuzione, deve essere compresa nel contesto di uno Stato e di una città in decadenza. Ciò emerge dal processo di assoluta deindustrializzazione (il numero di operai oggi nello Stato di Rio è inferiore a quello del 1985); dalla decomposizione dell'apparato statale con una forte presenza delle milizie nell'apparato di sicurezza, nella burocrazia statale (compreso l'entourage del governatore), nella Camera municipale e nell'Assemblea legislativa.
A ciò si aggiunge la presenza di forti gruppi armati della criminalità organizzata che controllano circa il 30% del territorio dello Stato - con una forte presenza nella capitale - e che sono l’effetto di un processo più ampio di pesante impoverimento di tutte le classi sociali.
L'inesistenza di una politica che dia una risposta ai molteplici fattori che hanno portato, da un lato, al declino di Rio e, dall’altro, alla crescita del narcotraffico alimenta il discorso violento che giustifica l'omicidio di massa. L'estrema destra, in assenza di una politica reale per risolvere il problema alla radice, usa le sue armi, dall'esperienza Bukele [carcere di massima sicurezza nel Salvador, ndt] alla proposta di Trump di considerare i gruppi di narcotrafficanti come terroristi.
Un massacro ripugnante
Nelle prime ore del mattino del 29 ottobre, nelle comunità di Penha e Complexo do Alemão, si è scoperto che il massacro commesso il giorno prima era stato molto più grave di quanto annunciato. Durante gran parte della notte e nelle ore successive, più di 60 corpi sono stati ritrovati nei boschi che circondano le due comunità, e il numero continuava a salire.
Chiaramente la polizia ha ucciso e nascosto in questi boschi e piccole foreste più di cinquanta persone. Le vittime, nella maggior parte dei casi, sono le solite: giovani neri, cioè le vittime preferite dell'apparato poliziesco.
Il ritrovamento dei corpi e la situazione in cui sono stati trovati indicano, oltre alle efferatezze senza scrupoli compiute dalle forze di polizia, un atteggiamento premeditato, quello di cercare di nascondere i propri crimini, il che significa piena consapevolezza del crimine commesso.
È bene notare che non funziona sempre così. La polizia non entra sfondando porte, sparando a caso ed eseguendo uccisioni di nascosto quando i criminali sono abitanti dei quartieri benestanti. In realtà, i ricchi e i potenti raramente vedono i loro crimini indagati, tanto meno giudicati, raramente puniti e comunque sempre con attenuanti. La giustizia è cieca solo quando i suoi bersagli sono bianchi e ricchi, in quel caso non vede nulla. Ma ha gli occhi ben aperti quando mira ai neri poveri della periferia.
La crescita del Comando Vermelho
Dopo aver vissuto un momento di crisi e aver visto diminuire la sua importanza nel traffico di droga, in particolare di cocaina, il Comando Vermelho (Cv) sta attualmente vivendo una fase di crescita e di aumento della sua importanza nel commercio illegale di droga.
L’altra organizzazione della criminalità organizzata, Primeiro Comando da Capital (Pcc), controllando la «rotta caipira» [corridoio di traffico internazionale dell’America Latina, ndt] e il confine tra Paraguay e Bolivia, e avendo una base per lo smaltimento della droga nel porto di Santos, aveva spostato il Cv in seconda linea nel traffico. Inoltre, sempre a causa di questo indebolimento, il Cv è stato oggetto di azioni coordinate da parte della polizia dello Stato di Rio, di un’altra organizzazione criminale (Terceiro Comando da Capital) e di milizie che negli ultimi anni gli hanno sottratto territorio e potere.
La situazione è cambiata quando il Cv, grazie ad alleanze strette nelle carceri federali, ha iniziato a controllare la rotta del Solimões, che ha permesso un collegamento diretto con la produzione colombiana attraverso il nord del Paese.
Grazie a questa nuova posizione e a un ingente afflusso di risorse, il Cv ha consolidato i rapporti con una serie di gruppi locali e regionali nel nord e nel nord-est del Paese, incorporandone una parte nella struttura del Comando e stringendo alleanze con altri gruppi, trasferendo anche una parte dei leader locali a Rio de Janeiro, sia per controllarli meglio, sia per nascondere alcuni di loro che erano perseguitati dalle polizie dei loro Stati regionali. O anche per usarli nelle guerre tra fazioni nella città e nello Stato.
In una serie di azioni negli ultimi anni, il Comando Vermelho ha riconquistato territori di tutte le fazioni rivali, con azioni armate che terrorizzano la popolazione e creano un senso di caos e insicurezza nella città.
L’Operazione Contenimento
È in questo contesto che il governatore Cláudio Castro (bolsonarista) ha preparato l'Operazione Contenimento. La motivazione legale dell'azione sarebbe stata l'esecuzione di oltre 100 mandati di arresto contro vari membri del Cv, nello Stato di Rio e fuori dallo stesso. Un'operazione di questa portata sarebbe stata, in ogni caso, qualcosa di terribile: i complessi di Alemão e Penha hanno aree densamente popolate, circondate da boschi e con una forte organizzazione militare del Cv.
Nelle ultime settimane erano state condotte diverse operazioni, con «piccole» perdite in ognuna di esse. Quando è stata avviata l'Operazione Contenimento la mattina del 28 ottobre, sono stati mobilitati più di 2500 agenti per quello che sarebbe stato il «grande giorno».
Secondo il quotidiano O Globo, «l'aspettativa dei poliziotti che hanno partecipato all'incursione era che si trattasse di un'altra operazione di routine, anche se con un alto grado di rischio. Poiché la polizia aveva già avviato un'indagine, c'erano punti mappati e un itinerario da seguire per entrare e uscire dalla comunità fino, al massimo, le prime ore del pomeriggio».
Tuttavia, sempre secondo O Globo, «la reazione dei criminali, unita alla morte di alcuni agenti di polizia durante gli scontri - i due agenti di polizia civile ancora al mattino e una coppia di agenti del Bope [polizia speciale] poche ore dopo - ha finito per spingere la polizia ad avanzare verso le zone boschive dove i criminali cercavano di nascondersi». E «la decisione delle squadre di proseguire gli scontri ha avuto l'approvazione dei superiori».
In altre parole, è stato elaborato un piano, mal concepito, ma che, scontrandosi con la resistenza armata e subendo perdite, è stato modificato in un «via libera generale» le cui conseguenze hanno provocato il più grande massacro nella storia di Rio de Janeiro e, nel pomeriggio del 28, una conflagrazione generale in città, dove il Cv ha attaccato diverse zone per «distrarre la polizia», mettendo in pericolo con scontri e sparatorie la popolazione e la classe lavoratrice di ritorno dal lavoro.
La militarizzazione della lotta al traffico di droga e alla violenza in generale
La logica della violenta militarizzazione, dei massacri e della detenzione di massa (che ha come risultato la crescita delle fazioni del narcotraffico e la nascita delle milizie) non è una novità né è un’esclusiva di Rio. Basta vedere cosa fanno i governi del Pt, come quello di Bahia con a capo Jerônimo Rodrigues, o quello di Tarcísio a San Paolo, per constatare che questa è la «soluzione» che tutti i settori politici individuano per un problema estremamente complesso e con cause e radici molto profonde.
Tuttavia, a Rio, questa politica ha trovato un supporto particolare nei governi e nelle istituzioni. L'attuale massacro, che ha già superato i 100 morti e il cui conteggio non è ancora terminato, è il terzo perpetrato dal governatore. Nel maggio 2021 c'è stato un massacro a Jacarezinho con 28 morti e nel maggio 2022 ci sono stati 23 morti, sempre nel Complexo da Penha.
Il sindaco Eduardo Paes ha recentemente creato una guardia municipale armata, il cui debutto è stato lo sgombero di un edificio urbano, attaccando residenti, passanti e persino un gruppo di parlamentari che si erano recati sul posto per seguire lo sgombero.
La logica della lotta alla violenza attraverso l'aumento della violenza dello Stato è così potente che, recentemente, l'Alerj [Assemblea legislativa dello Stato di Rio de Janeiro, ndt] ha approvato una legge che prevedeva un bonus fino al 150% dello stipendio per gli agenti che partecipavano a operazioni di «neutralizzazione dei criminali».
Questa legge era talmente bizzarra che il governatore stesso l'ha bocciata. Ma non ha bocciato la sua logica, che continua a stimolare, come abbiamo visto nell'operazione e nel massacro del 28.
L'estrema destra, l'opzione Bukele e il narcoterrorismo
Di fronte al caos in cui è precipitata la città e alle reazioni che hanno avuto, le forze politiche hanno presentato le loro soluzioni.
Va sottolineato che ci sono fondamentalmente due proposte in gioco: da un lato, quella dell'attuale governo federale, che condanna formalmente il massacro. Dall'altro, i gruppi di estrema destra estremizzano le loro posizioni.
Il bolsonarista Nikolas Ferreira, ad esempio, ha pubblicato sui suoi social network che, se fosse arrivato al governo, avrebbe fatto come Bukele, ovvero avrebbe incarcerato l'1,7% della popolazione brasiliana, cioè 3 milioni e mezzo di persone: per arrestare un numero così elevato di persone è necessario limitare la libertà di tutta la popolazione del Paese, è necessario porre fine alla democrazia. Per non parlare dell'assurdità pratica di questa alternativa, poiché è proprio nelle carceri che crescono le fazioni criminali, che sono la loro principale fonte di nuovi reclutamenti.
Ma non è stata solo questa l'iniziativa dell'estrema destra. È subito tornata in auge la discussione, promossa da Trump, di considerare i gruppi di narcotrafficanti come narcoterroristi e, quindi, soggetti alle azioni del Dipartimento di Stato americano.
Indipendentemente dal fatto che questi progetti vadano avanti, essi si contendono la coscienza della classe operaia, dei settori più poveri e anche della classe media, che sono le vittime quotidiane della violenza.
Lula e il governo se ne lavano le mani
La risposta di Lula e del suo governo al massacro è stata un furbesco lavarsene le mani. Ha dato la colpa al governatore di Rio per non essersi appoggiato alle capacità di intelligence del governo centrale e ha affermato di aver fornito tutto il sostegno richiesto dallo Stato, compreso il rinnovo per 11 volte consecutive della permanenza della Guardia Nazionale nello Stato.
Ovviamente condanna il massacro, ma non mette affatto in discussione la logica che lo ha provocato. E non può nemmeno metterla in discussione perché ciò richiederebbe di affrontare il proprio partito, che in Bahia fa lo stesso che Cláudio Castro a Rio o Tarcísio a San Paolo.
È necessaria una via d'uscita per i lavoratori dalla criminalità e dalla violenza
Chi ha più interesse a combattere e porre fine a tutta la violenza a Rio de Janeiro sono i lavoratori. E questo perché sono i lavoratori le principali vittime della violenza. Non è un caso che i furti e i piccoli furti abbiano il loro picco tra le 6 e le 8 del mattino e tra le 19 e le 20 di sera, cioè nell'ora in cui i lavoratori vanno o tornano dal lavoro.
Questi lavoratori, che si vedono rubare il proprio cellulare o la propria auto mentre cercano di guadagnarsi da vivere, sono gli stessi che assistono alle operazioni di polizia nei loro quartieri (dove tutti vengono trattati come criminali), che vedono le loro case assaltate, i loro beni rubati. E questi stessi lavoratori sono anche vittime del traffico di droga e delle milizie che controllano intere comunità, impongono le loro regole, praticano la violenza e perseguitano coloro che non si sottomettono alle loro decisioni.
Ecco perché qualsiasi piano di sicurezza pubblica deve partire da questo settore. Così, ad esempio, il controllo democratico dei lavoratori e della popolazione sulle strutture adibite a operazioni di polizia, l'elezione di delegati e comandanti con la revocabilità dei loro mandati, la smilitarizzazione della Polizia Militare, la punizione di tutti coloro che sono coinvolti in crimini contro la popolazione, sarebbero misure minime, ma necessarie.
D'altra parte, la legalizzazione delle droghe e il controllo da parte dello Stato della loro produzione, distribuzione e consumo (come avviene per altre droghe legali come il tabacco e l'alcol) smantellerebbe sia l'apparato poliziesco che, in nome della guerra alla droga, attacca i poveri e i neri, sia le bande illegali che controllano questo business redditizio e senza controllo.
È inoltre necessario che i lavoratori si organizzino per difendersi. Finché solo i nemici della classe lavoratrice saranno organizzati e armati, saremo noi le vittime della violenza.
Via Cláudio Castro! Basta con le stragi!
Cláudio Castro è il governatore delle stragi e degli attacchi ai lavoratori. Ma il 28 ha superato ogni limite.
L'omicidio di 128 persone non può essere giustificato e può essere compreso solo nel contesto della profonda decadenza e decomposizione del tessuto sociale di Rio.
Considerare normale ciò che è accaduto cercando di nascondere il problema con una presunta lotta alla violenza e alla criminalità significa coprire un genocidio che si sta compiendo nelle periferie e nelle comunità dello Stato. Significa dare totale libertà alla polizia di assassinare chi vuole e come vuole.
Ma la cosa peggiore è che il governatore dello Stato non solo giustifica e difende le stragi, ma le organizza e le promuove. Non solo non punirà gli autori delle stragi, ma li promuoverà e li incoraggerà a continuare su questa strada.
Cláudio Castro è il mandante della strage, deve andarsene subito ed è nostro compito scendere in piazza per gridare: cacciamo Cláudio Castro!
*Pstu, sezione brasiliana della Lit-Quarta Internazionale




















